“… Si tratta di una partita a scacchi tra scrittore e lettore, in cui io devo essere bravo a nascondere tracce e chi legge deve saperle cogliere…”

La comunità arcobaleno della città è sconvolta da una serie di efferate esecuzioni da parte di un killer che uccide le sue vittime con un solo colpo, sparato alle spalle. Il caso è affidato al tenente Frank Bongiovanni che, assieme alla sua squadra di investigatori, cerca di mettere luce su questi omicidi. Una volta individuato un facile colpevole per quietare la stampa e i cittadini, il tenente non si arrende, scardina la gerarchia del NYPD e inizia a condurre singolarmente le indagini, scavando in sé stesso e nel cuore della città.

In questo romanzo hai inserito molto della tua formazione multiculturale? Se sì, perché?

Frank Bongiovanni è un personaggio con un retroterra ampio e ricco. Ha origini italiane, ma ha anche sangue creolo, in un mix di culture e lingue. Il fatto di ambientare parte della storia nella Louisiana, dove la famiglia materna di Frank aveva una tenuta agricola, mi ha permesso di ricordare il passato francofono degli Stati Uniti e di come il mondo di oggi sia la conseguenza di scelte fatte, a volte, con una certa leggerezza. Si pensi che, quando Napoleone vendette la Louisiana, il territorio non aveva neanche dei confini precisi. Dall’altro lato, molti dei personaggi che appaiono nel romanzo sono espressione della ricchezza dell’America Latina e mostrano come l’influenza ispano-americana si stia affermando in maniera sempre più decisa negli Stati Uniti, rivendicando la propria dignità linguistica e culturale. L’Italia di oggi è molto diversa da quella che ho conosciuto quando frequentavo le elementari. In pochi anni ha accolto persone proveniente da zone anche molto lontane del mondo. La globalizzazione non è più un concetto astratto, ma una realtà che chiunque sperimenta nel proprio quotidiano. Per questo motivo ho introdotto questo elemento nel romanzo, perché non si può parlare delle passioni umane senza mostrare l’ambiente in cui viviamo.

Da dove nasce la passione per il genere giallo?

Amo il gioco del gatto e del topo tra chi vuole catturare il colpevole e chi, invece, cerca di sfuggire alle proprie responsabilità. Lo prendo come un gioco mentale e mi piace pensare a scenari complessi in cui le piste siano confuse e sfuggenti. Si tratta di una partita a scacchi tra scrittore e lettore, in cui io devo essere bravo a nascondere tracce e chi legge deve saperle cogliere, scoprendo l’assassino prima che io glielo riveli. In più, il giallo, parlando dei più potenti impulsi dell’uomo, permette di analizzare la società e l’evoluzione dei costumi.

C’è un personaggio a cui ti senti particolarmente affine?

Durante la stesura del romanzo mi sono affezionato molto a Frank Bongiovanni. Ne ammiro il senso del dovere, il bisogno di giustizia. Al tempo stesso è un personaggio con molte ombre, che ha vissuto la guerra in Iraq e in Afganistan, con alle spalle un divorzio doloroso e una figlia piccola che vede poco spesso. Nonostante le proprie ferite, vorrebbe credere ancora nell’amore, lasciarsi andare a un sentimento che possa ridar senso alla sua vita. Ma il lavoro è un grosso freno e, al tempo stesso, un’ottima scusa per fuggire ai propri sentimenti.

Quali messaggi vorresti trasmettere al tuo pubblico di lettori?

Innanzitutto, vorrei regalare qualche ora di sano divertimento e spensieratezza. A mio avviso, un giallo deve essere soprattutto una lettura ludica e permettere l’evasione. Durante il percorso, spero di aver disseminato alcuni messaggi positivi, di tolleranza e comprensione reciproca. Perché, in fondo, l’uomo è sempre uguale a se stesso, in qualunque contesto ed epoca. Spero che i miei lettori si lascino guidare tra le strade polverose della Grande Mela e tra le paludi putride del mondo onirico del protagonista. Da questo viaggio mi auguro che tornino con le valige piene di ricordi, qualche sogno, e con la voglia di ritrovare Frank Bongiovanni in una nuova avventura.

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